Renato Rascel: il fuoriclasse dello spettacolo e del cinema italiano

“Il 27 aprile 1912 nasceva Renato Rascel, nome d’arte di Renato Ranucci, diventato il più grande talento del nostro cinema, un talento unico nel panorama dello spettacolo italiano, mai un attore completo come lui. Teatro, cinema, rivista, canto e ballo, forse nessuno è riuscito a fare di più. Ma soprattutto forse nessuno è riuscito a fare tutto così bene”.

Il grande Renato Rascel nel film
Il grande Renato Rascel nel film “Attanasio cavallo vanesio”(1953), che insieme al sequel “Alvaro piuttosto corsaro”(1954), sono le prime commedie musicali della storia del cinema italiana, e nel loro genere, due grandi capolavori.

L’altezza gli condizionò la vita e la carriera. Sarebbe diventato comunque un grande attore perché aveva passione e talento da vendere. Ma forse non sarebbe diventato un personaggio, il Piccoletto nazionale, se fosse stato alto un metro e settanta. Fu, invece, un personaggio “piccolo” in tutto, ma grande, grandissimo nel talento. Perché Renato Rascel è stato un personaggio unico nel panorama dello spettacolo italiano, che ha avuto tanti comici ma non ha avuto mai un altro attore completo come lui.
Rascel era comico (ma negli anni della maturità si cimentò con successo in parti “impegnate” e drammatiche: come dimenticare “Il cappotto”, che Alberto Lattuada trasse da una novella di Gogol), ma era anche musicista e ballerino. Quella sua voce sottile e leggermente nasale, modulata sullo swing del jazz, arrivava a note imprendibili per gli altri cantanti e poi fin da piccolo era stato folgorato dal ballo, dal tango argentino prima, quando furoreggiò in Italia nei primi anni ’30, e dal tip tap di cui fu straordinario interprete poi. In tutte le discipline Rascel portava una buona dose di ironia, che spesso sfociava in comicità irresistibile, e una certa levità, coerente con il suo fisico leggero di bambino mai cresciuto. Anche quando interpretava canzoni melodiche e sentimentali, forse per via di quella sua voce moderna, si poneva al di fuori dei canoni della tradizione italiana, un po’ melensa e stereotipata.
Fu soprattutto il suo nonsense a imporlo come comico originale, con quel suo modo strampalato di raccontare la vita di tutti i giorni senza una apparente logica, secondo un procedimento spiazzante che consisteva nel condurre lo spettatore verso l’assurdo. Per esempio, ecco una sua tipica frase: “Eravamo a Caianello che facevamo i cadetti, quando arriva uno che dice: scusino, loro fanno i cadetti? Bè, me ne facciano due. Non l’avesse mai detto! Non l’avrebbe sentito nessuno.”. Certo, non fu facile affermare questo tipo di comicità, ma alla fine Rascel riuscì nell’impresa, disegnandosi addosso un personaggio quasi lunare, fiabesco, improbabile e bizzarro che restò in scena per oltre mezzo secolo. E sempre all’apice del successo.
Nel cinema interpretò una cinquantina di film, che gli diedero grandissime soddisfazioni, ma per lui il cinema non è stato, come è accaduto a molti altri artisti di teatro, una parentesi, ma un continuo successo e una continua sperimentazione, un po’ come Totò. La sua filmografia è, infatti, piena zeppa di titoli che vanno da pellicole di grande valore, come “Il cappotto”, che ottenne applausi scroscianti a Cannes e con il quale Rascel vinse il prestigioso “Nastro d’argento” per la miglior interpretazione; o “Policarpo, ufficiale di scrittura”, che gli valse ampi riconoscimenti e la vittoria del “David di Donatello”, quale miglior attore protagonista; fino a “Questi fantasmi”, di Eduardo De Filippo o “Il Giudizio Universale”, di De Sica. Senza scordare i successi delle riviste filmate per il cinema, quali “Attanasio cavallo vanesio”, “Alvaro piuttosto corsaro”, e il celebratissimo “Arrivederci Roma”, ispirato all’omonima, leggendaria canzone rasceliana, che ottenne un successo mondiale.

Un immagine di scena del film
Un immagine di scena del film “Il cappotto”(1952) tratto da una novella del grande scrittore russo Gogol, il capolavoro drammatico di Renato Rascel. Magistrale e struggente la sua interpretazione.

Se l’avventura sullo schermo era iniziata prima della guerra, con “Pazzo d’amore”, è negli anni ’50 e ’60, con l’affermarsi dei suoi personaggi sulla scena della rivista, che il cinema ne celebra il trionfo (soltanto Rascel reggerà in questi anni il confronto con Sordi e Totò al botteghino). Dapprima con una serie di film comici, incentrati sulla sua figura di piccoletto combinaguai, le cui azioni sono trasferite preferibilmente in paesi esotici. E’ questa la prima delle tre fasi cinematografiche di Rascel. Il primo periodo si può quindi ricomprendere tra il 1950 di “Botta e risposta” e il 1952 del “Bandolero stanco”, film immediatamente pre-cappotto, in cui Rascel ripropone gag e situazioni già sperimentate in rivista. Sono film in cui le trame sono quasi dei pretesti per permettere a Rascel mattatore, di esibirsi nei suoi numeri di maggior successo. La formula, comunque, si rivelò azzeccata e Rascel entrò di diritto tra le stelle del cinema.
Con il passare degli anni alcuni registi videro, però, in lui un potenziale attore drammatico, nel quale proprio la statura fa dell’uomo uno sfortunato, un perdente, una vittima predestinata di una società egoista e profittatrice. E’ lo stesso Rascel ad apprezzare e a puntare su questo tipo di personaggi crepuscolari, dichiarando che non gli è mai piaciuto il personaggio vincente: uno può essere anche un eroe, ma non si deve dare troppe arie. Così è per “Questi fantasmi”, dove il protagonista viene travolto da una trama imbastita dalla moglie e dall’amante di lei. Così è nel “Cappotto”, e il regista Alberto Lattuada lo sceglie, come disse testualmente, per quella faccia da topino indifeso che impersonava il ruolo di un impiegato alla ricerca di una promozione, anche attraverso l’acquisto di un elegante cappotto, che gli verrà poi rubato. Così è per  Mario Soldati, che lo scrittura per “Policarpo, ufficiale di scrittura”, per quell’aspetto di triste arrendevolezza, non tanto di fronte al progresso, quanto alle protervie di capiufficio impegnati, già allora, e siamo a fine ottocento, in un vorticoso giro di bustarelle che umilia l’uomo prima ancora che la società. Quindi la seconda fase parte all’insegna del cinema impegnato, imbastita e arricchita di ambientazioni e di personaggi crepuscolari, che si caratterizza per l’essere un periodo di forte sperimentazione da parte del “Piccoletto nazionale”, che amava sempre cercare nuove strade e mettersi sempre in gioco.
Così dal “Cappotto”, fino al 1955 del mediocre “I pinguini ci guardano”, Rascel sperimenta vari generi cinematografici: il genere cinematografico crepuscolare, ispirato alla letteratura russa dell’ ottocento, da Gogol a Cechov, con il già citato “Il Cappotto”, “La passeggiata”, “Il matrimonio” e “Ho scelto l’amore”, ispirato all’opera di Kravchenko “Ho scelto la libertà” e alla “Ninotscka” di Greta Garbo; le riviste filmate di “Attanasio cavallo vanesio” e “Alvaro piuttosto corsaro”; l’interpretazione di un grande testo teatrale al cinema con “Questi fantasmi”; e la partecipazione ai film a episodi, di gran moda in quegli anni. Il gusto di sperimentare è sempre stata una prerogativa rasceliana, tanto nel cinema quanto nelle altre forme di spettacolo: così è nel cinema, così lo è stato nella rivista con la creazione della grande commedia musicale, così anche nella neonata televisione, quando nel biennio ’56-57, Rascel ha testato con i suoi show il nuovo mezzo televisivo; ed anche nella musica con la creazioni di memorabili canzoni rimaste nella storia. Ciò che permetteva a Rascel di eccellere, al contrario di molti suoi illustri colleghi che, spesso, erano specializzati solo in un’unica forma di spettacolo, era la sua straordinaria poliedricità, che gli permetteva di spaziare in tutti i campi dello spettacolo, con sempre egual successo e infinito talento.
Rascel sapeva adattarsi in maniera sublime rimanendo sempre se stesso, e sapendo cogliere, come nessun altro, i mutati gusti e le esigenze di un pubblico che si andava evolvendo e ampliando sempre di più.

La locandina del film
La locandina del film “Policarpo, ufficiale di scrittura”, uno dei più importanti film degli anni ’50. Per questa stupenda interpretazione Rascel vinse il “David di donatello” come miglior attore protagonista, e la pellicola vinse il premio nella categoria “miglior commedia” al Festival di Cannes.

La terza fase può essere ricondotta tra il 1957 di “Arrivederci Roma” e il 1961 del film “Gli attendenti”, anni in cui, dopo l’esperienza in tv e nel teatro di prosa, torna prepotentemente in auge al cinema. E’ la fase migliore della carriera cinematografica di Rascel, sono gli anni della conferma ai massimi livelli, in un tipo di cinema allegro e sbarazzino, consapevole del momento storico positivo per la società italiana, che stava acquisendo gli influssi benevoli del boom economico e quindi il segno di un certo benessere. Nelle interpretazioni rasceliane del periodo, si denota la grande esperienza acquisita da Rascel in anni e anni di lavoro, l’autorevolezza e la semplicità con cui è sul set in interpretazioni memorabili e quasi sempre da protagonista o co-protagonista. I titoli più significativi del periodo sono, il già citato e memorabile, “Policarpo, ufficiale di scrittura”, “Tempi duri per i vampiri”, “Rascel marine” e il celeberrimo “Il corazziere”, ispirato alla sua omonima e famosissima macchietta.

Una scena dal film
Una scena dal film “Rascel Marine”, una parodia del genere bellico di ottimo livello. A guidare le fila un sempre grande Renato Rascel.

Ebbene queste prove d’autore vengono superate da Rascel a pieni voti, e danno al cinema italiano un nuovo attore di grande, grandissimo talento. La carriera cinematografica del grande Renato si concluse nel 1977 con la partecipazione al grande affresco sulla vita di Gesù, firmato da Franco Zeffirelli.
Negli ultimi anni della sua carriera sul grande schermo, interrotta un ventennio prima della sua morte, Rascel si impose di rifiutare certe proposte ripetitive, legate ai soliti cliché di comicità medio-bassa e di considerare l’ipotesi di sceneggiare e dirigere soggetti di sua invenzione. Ma gli impegni in campo teatrale e il rilevante aspetto economico sfociato in disillusi finanziamenti non gli permisero di portare a termine progetti praticamente sicuri, fondamentali anche per la sua crescita di artista. Ma, nonostante ciò, gli anni ’60, sono stati un decennio ricco di soddisfazioni per Rascel, dalla vittoria al Festival di Sanremo con “Romantica” nel 1960; ai successi sfolgoranti delle commedie musicali, “Enrico ‘61” e “Il giorno della tartaruga”; allo splendido “Delirio a due”, meravigliosa prosa dell’assurdo di Jonesco, fino ad arrivare agli albori degli anni ’70 con la intrigante serie televisiva dei “Racconti di Padre Brown”, che narra delle avventure di un prete detective, e la rivista di successo “Alleluja brava gente”.
La prerogativa fondamentale del suo straordinario successo, durato in maniera immutabile, per oltre 50 anni, è dato come già detto, dalla sua poliedricità di attore e dalla innata voglia di sperimentare sempre nuovi generi, senza precedenti, nella storia del cinema. Infatti, ad esempio, nel momento di maggior successo del comico, Rascel si scopre autore e interprete della canzone d’amore, con “Arrivederci Roma”, che diventò una delle canzoni italiane più celebrate e più conosciute di tutti i tempi; oppure “Romantica”, con la quale in coppia con Tony Dallara vince il Festival di Sanremo nel 1960 interrompendo i successi travolgenti di Domenico Modugno.
Le grandi soddisfazioni che ebbe dal cinema, ed anche i lauti guadagni, non gli fecero dimenticare il teatro, soprattutto quello leggero, moderno, basato su un copione, su una storia e su una partitura musicale di cui fu, insieme alla premiata ditta Garinei e Giovannini, l’inventore. Un genere che in Italia fu chiamato commedia musicale e che a Broadway veniva chiamato musical e che, forse, non sarebbe mai approdato sui nostri palcoscenici se Garinei e Giovannini, che avevano iniziato la loro carriera nel dopoguerra con la rivista tradizionale (basata su una serie di quadri e di numeri autonomi e indipendenti), non avessero avuto a disposizione un protagonista, un dominatore della scena, come Rascel, il più americano, il più broadwayano dei nostri attori, con le sue straordinarie qualità di attore, non comuni, di ballerino e di musicista, di showman completo.
Le commedie musicali furono otto, in meno di vent’anni, con Garinei e Giovannini, in una sequenza in crescendo che culminò con “Enrico ‘61”, il massimo capolavoro del sodalizio Rascel-Garinei-Giovannini. Il successo di questa commedia fu davvero travolgente, in tutto lo stivale e addirittura anche all’estero, soprattutto a Londra dove al “Piccadilly theatre” rimase in scena per 6 mesi di fila. Ne venne fatta anche una versione televisiva, fedelissima all’originale, che ci fa gustare intatta la più bella commedia musicale, la più bella rivista che sia mai stata fatta in Italia, dedicata peraltro al centenario dell’Unità d’Italia. In queste tre ore di spettacolo Rascel supera se stesso, un one man show straordinario, realizzato all’apice della sua carriera.

Renato Rascel in scena con Clelia Matania ed Alberto Bonucci nella rivista
Renato Rascel in scena con Clelia Matania ed Alberto Bonucci nella rivista “Enrico ’61” del 1963. Un capolavoro di straordinaria fattura, un one man show di oltre tre ore con un Rascel memorabile.

Il sodalizio con Garinei e Giovannini terminò, poi nel 1970, non prima di aver interpretato l’ultima grande rivista con i due grandi autori, “Alleluja brava gente”, che segna, forse, malinconicamente la fine di un’epoca. Non si conoscono i motivi della rottura, se mai rottura vera e propria c’è stata, ma fu un vero peccato perché, dopo questa rottura, Rascel non riuscì più a produrre spettacoli degni di nota, a parte “Finale di partita” nel 1986, splendida prosa dell’assurdo di Samuel Beckett, interpretata in coppia con il grande Walter Chiari; e Garinei e Giovannini non trovarono più un personaggio così completo, così grande come lui.

-I premi e i riconoscimenti cinematografici di Rascel

Nella carriera di Renato Rascel, infine, di notevole rilievo sono anche i prestigiosi premi vinti nelle più importanti kermesse cinematografiche a livello nazionale ed internazionale. L’attore romano si aggiudicò, come già detto il “nastro d’argento” come miglior attore protagonista nella stagione 1952, per l’interpretazione del film “Il cappotto”. E sempre a livello nazionale, Rascel lega il suo nome anche al prestigioso “David di Donatello”, aggiudicandoselo nel 1959, per la miglior interpretazione maschile dell’anno per il film “Policarpo, ufficiale di scrittura”, film che peraltro, farà incetta di premi. E’ un riconoscimento importante, prestigiosissimo per Renato, un riconoscimento meritato, che lo salda definitivamente nell’ “olimpo” dei grandi interpreti del cinema italiano di tutti i tempi. Non mancarono riconoscimenti e lodi neanche a livello internazionale, rimaste nella storia sono le sue due partecipazioni al “Festival del cinema di Cannes”, insieme al “Festival del cinema di Venezia”, la kermesse internazionale più importante del mondo. Al “Festival di Cannes” garantiscono storicamente la loro presenza molte star del cinema che si mostrano alla passerella dell’ingresso nella sala delle proiezioni. Negli anni ’50 Renato Rascel ne è stato uno dei divi, uno dei divi che sfilavano in passerella e il suo nome veniva acclamato con applausi scroscianti. Rascel è in concorso nel 1952 con il capolavoro di Alberto Lattuada, “Il cappotto”  e nel 1959 con il magistrale “Policarpo, ufficiale di scrittura” di Mario Soldati. L’ interpretazione di Rascel nel “cappotto” viene lodata ed esaltata, e il nostro attore sfiora la vittoria della “Palma d’oro” quale miglior attore protagonista, poi assegnata a Marlon Brando per “Viva Zapata”. Nel 1959 Rascel è nuovamente in gara con “Policarpo, ufficiale di scrittura”, ancora una volta, sfilando in passerella, viene acclamato quale una delle massime star del periodo. Il film sbaraglia la concorrenza e vince il prestigoso “premio per la miglior commedia” al XII Festival internazionale di Cannes. Una soddisfazione enorme per il grande Renato, veder trionfare il film che lo vede protagonista assoluto, ad un festival, ad una passerella così importante quale è quella di Cannes.

Renato Rascel e Roberto Rossellini al Festival del cinema di Cannes nel 1959. Due monumenti del cinema italiano. Quella stessa edizione il film
Renato Rascel e Roberto Rossellini al Festival del cinema di Cannes nel 1959. Due monumenti del cinema italiano. Quella stessa edizione il film “Policarpo, ufficiale di scrittura” con protagonista Rascel vinse il premio come miglior commedia. L’anno dopo Roberto Rossellini vinse a Cannes anch’egli con il film “Il Generale della Rovere”.

Infine, una nota sincera e dovuta al grande amore della sua vita, la terza moglie Giuditta Saltarini, venuta dopo l’attrice Tina De Mola e la sua segretaria personale Huguette Cartier. Nel 1969 Rascel conobbe la giovanissima Giuditta Saltarini, per la quale lasciò la seconda moglie e si legò all’attrice romana, un amore durato inalterato per più di 20 anni. Dalla loro relazione, nascerà nel 1973 il suo unico e amato figlio, Cesare, oggi apprezzato musicista, il quale porta il nome del nonno paterno. Giuditta Saltarini e Renato Rascel sono convolati a giuste nozze nel 1981, il loro è stato un amore sincero, vero, riservato, lontano dai riflettori della vita mondana. La terza signora Rascel è stata, inoltre, un apprezzatissima attrice di prosa e di teatro, ed ha recitato, con eleganza e bravura, classici come Moliere, Pirandello e Goldoni.

Renato Rascel e Giuditta Saltarini, storia di un grande amore
Renato Rascel e Giuditta Saltarini, storia di un grande amore.

Il testo è tratto dal libro “Arrivederci Rascel” (2014) di Domenico Palattella edito dalla “photocity edition” collegata “La feltrinelli”.

Domenico Palattella

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